Gaspare Buscemi

Gaspare Buscemi
Come ho sempre dichiarato, e come chiaramente appare in ogni mio documento, anche se da qualche anno
conduco una piccola vigna, non sono un viticoltore classico ma un enologo che ormai dal 1966 opera per il
viticoltore che nel vino realizza la sua vigna.
Infatti, quale responsabile dei neo costituiti Consorzi di tutela vini “Collio” e ”Isonzo”, già allora ho organizzato
i primi servizi di assistenza enologica ai viticoltori che cominciavano a vinificare ed imbottigliare e, nel 1973,
ho aperto la mia attività imprenditoriale, la prima in Italia, di servizi operativi e formativi di cantina, dalla
lavorazione delle uve all’imbottigliamento, oltre che di assistenza tecnica
Professionalmente, ho anche proposto, organizzato e realizzato, per i viticoltori del comune di Carema (TO),
la prima condotta enotecnica, tanto voluta da Luigi Veronelli, servizio che ha certamente contribuito per un
ventennio al mantenimento di quella viticoltura eroica e al rilancio del “Carema”.
Il contatto con viticoltori delle più tradizionali zone di produzione italiane, ma anche francesi, ancora legati
all’enologia contadina degli inizi del 1900, ha motivato il mio impegno per una “enologia naturale e artigiana”
nella convinzione che questa sia l’unica strada capace di esprimere, oltre alla cultura dell’uomo, “contadino”
in vigna ma “artigiano” in cantina, la qualità territoriale delle uve nelle sue massime espressioni ciò che
porterebbe il nostro viticoltore al prestigio del vigneron.
Infatti, da una enologia inevitabilmente naturale e artigiana, perché in tempi molto prima dell’era industriale,
sono nate in Francia le produzioni territoriali sulla cui qualità, universalmente riconosciuta, è costruita
l’inarrivabile immagine di mercato del vino francese.
Per questa enologia, fatta di attenzioni piuttosto che di tecnologia industriale inevitabilmente standardizzante,
ho progettato e costruito tutte le attrezzature con le quali sono state prodotte, con le uve dei viticoltori con i
quali ho collaborato, tutte le innumerevoli bottiglie in riserva nella mia cantina a partire dal 1982.
Nel 2011 a scopo di completamento e ricerca professionale, ho realizzato un piccolo vigneto, circa 1 ettaro,
che conduco secondo criteri biodinamici anche se non certificati.
In vigneto
Sul terreno, totalmente inerbito, gli interventi sono limitati alla distribuzione del “500”, alla pratica del sovescio
ed al taglio delle erbe sotto fila.
Sulla vite, la difesa da peronospora e oidio è fatta utilizzando esclusivamente prodotti di copertura a base di
rame e zolfo;
la difesa dagli insetti non viene fatta, tranne l’intervento obbligatorio preventivo per lo scaphoideus,
utilizzando piretro.
In caso di necessità, grandine, gelate tardive o altre cause di forte stress, viene utilizzato un biostimolatore a
base d’alghe.
In cantina
Per realizzare la qualità contenuta nelle uve, credo sia innanzitutto necessario non perderla, così come credo
che la territorialità (natura + cultura) da cui deriva, possa esprimersi in un vino solo quando i processi biologici
e chimico-fisici, per i quali si forma, si sono completati naturalmente, senza sostanziali interventi di
condizionamento o correzione di parametri, ma anche regolarmente, per cui risulta anche stabile e sano, come
d’altra parte e sempre stato prima dell’enologia industriale.
Proprio la modifica dei parametri e il condizionamento dei processi, in funzione di espressioni organolettiche
volute e costanti, del rispetto dei tempi di mercato o di costi di produzione, è il compito dell’enologia
industriale, il cui obbiettivo è il mercato di pronto consumo.
Da questa, l’enologia naturale deve distinguersi, non per conflitto ma per opportuna complementarietà di
mercato favorevole ad entrambe le rispettive produzioni.
Poiché la necessità di non intervenire tecnologicamente rende indispensabili scelte e attenzioni di lavorazione,
finalizzate all’ottenimento dei parametri comunque necessari, ho cercato di renderle operativamente più
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semplici e sicure realizzando specifiche attrezzature che coprono tutte le fasi della lavorazione, dalla
lavorazione delle uve all’imbottigliamento, dal controllo di travaso alla filtrazione (fatta, secondo opportunità,
solo con gli strati filtranti tradizionali), dai contenitori agli ambienti coibentati e climatizzabili per la dispersione
o integrazione delle temperature positive o negative in funzione delle fasi di lavorazione e delle condizioni
climatiche.
Le fermentazioni sono comunque spontanee e non controllate, malolattica compresa, e l’anidride solforosa è
sempre molto limitata ma anche, in alcuni casi, non utilizzata.
Nella lavorazione per vini bianchi la separazione delle vinacce è immediata. Sul mosto, per facilitare la
defecazione statica, non sempre, sono impiegati pochi grammi/hl di bentonite mentre, per la pulizia dei vini
nuovi finalizzata ad una migliore precipitazione tartarica invernale, prima dell’obbligo di indicazione degli
allergeni era utilizzato l’albume fresco con qualche grammo di tannino, oggi l’albume è sostituito con gelatina
alimentare o colla di pesce.
Questo trattamento preinvernale è utilizzato anche per i vini rossi che vengono tutti svinati, normalmente,
dopo 60-90 giorni di macerazione, a fine fermentazioni, malolattica compresa.
Dopo la naturale precipitazione tartarica invernale che completa la stabilizzazione chimico-fisica, i vini sono
lasciati sulle fecce, senza rimetterle in sospensione, fino all’imbottigliamento normalmente fatto entro inizio
estate.
La bottiglia ed il sughero del tappo, che per me è più importante e meno invasivo della barrique, realizzano le
condizioni di affinamento e crescita di qualità
Prima della timbratura e lubrificazione, il tappo viene depurato con un mio procedimento che abbatte i fenoli
estraibili fino al 66% (università di Piacenza!)
Una produzione di particolare importanza è quella dei vini frizzanti, prodotti su una base di vini vecchi senza
utilizzare lo zucchero.
Per la rifermentazione in bottiglia viene infatti utilizzato il mosto di uve mature.